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Il fenomeno del working poor

Secondo la definizione europea, il concetto di povertà lavorativa, comunemente conosciuto come ‘working poor’, identifica la percentuale di lavoratori e lavoratrici, impiegati per gran parte dell’anno, che vivono in una famiglia il cui reddito complessivo è inferiore rispetto al 60% della mediana nazionale.

Se per decenni avere un lavoro era la garanzia contro la povertà, oggi il fenomeno del working poor ha un’incidenza sempre maggiore.

In Italia, secondo i dati Eurostat del 2024, il fenomeno della povertà lavorativa riguarda il 10,3% dei lavoratori, percentuale in crescita rispetto a quella dell’anno precedente e sopra la media UE.

Le cause della povertà lavorativa in Italia

Il fenomeno della povertà lavorativa ha iniziato a diffondersi a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso. Nelle prime fasi di implementazione dello Stato Sociale, infatti, la crescita economica successiva alla guerra determinò una riduzione della povertà, rendendo non necessaria la progettazione di una politica espressamente rivolta al contrasto dell’indigenza.

Verso la fine degli anni Novanta, però, la situazione iniziò a cambiare. Il numero di persone che vivevano sulla soglia della povertà cominciò a crescere e i loro bisogni a mutare profondamente, in seguito prevalentemente ai flussi migratori in crescita, alla precarizzazione del lavoro e alla crisi della famiglia come ammortizzatore sociale.

La diffusione del fenomeno della povertà lavorativa sembra avere radici nell’aumento delle occupazioni a bassa remunerazione e bassa qualifica, nella diffusa precarietà, nell’aumento dei lavori irregolari e dei contratti non standard, oltre che nel forte incremento del lavoro part-time involontario e nella stagnazione dei salari. Anche il basso tasso di occupazione femminile sembrerebbe apportare il proprio contributo, a causa dell’incidenza sul reddito complessivo delle famiglie monoreddito.

In Italia una delle ragioni alla base di un elevato tasso di povertà lavorativa sembrerebbe risiedere nella specializzazione produttiva. L’attività economica italiana, infatti, è concentrata in filiere a basso valore aggiunto e proprie di una competizione fondata sull’abbassamento del costo del lavoro, con conseguente riduzione dei salari e diffusione di illegalità e precarietà.

Negli ultimi anni, inoltre, l’aumento del tasso di inflazione ha determinato una consistente riduzione del potere d’acquisto della popolazione, che ha portato ad un aumento della percentuale di lavoratori e lavoratrici a rischio di povertà.

Secondo i dati Eurostat, in Italia, il fenomeno della povertà lavorativa colpisce prevalentemente i lavoratori autonomi, le persone di cittadinanza straniera, i genitori, coloro che abitano in affitto, i giovani, e le persone con un livello d’istruzione non superiore al limite imposto dalla scuola dell’obbligo. Sono tuttavia in aumento anche i dati relativi ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti, ai laurati e a coloro che detengono un contratto di lavoro a tempo pieno.

La condizione di ‘in-work poor’, o lavoratore povero, infatti, non è determinata dalla sola componente occupazionale, ma è fortemente influenzata anche dalla composizione familiare, dai fattori istituzionali, tra i quali la legislazione sul salario minimo, e dai fattori strutturali, quali il tasso di disoccupazione e la flessibilizzazione del mercato del lavoro.

Possibili soluzioni

In Italia, le misure di contrasto alla povertà sono incentrate sul paradigma dell’attivazione lavorativa. L’idea alla base di tali politiche risiede, infatti, nel fatto che buona parte delle persone a rischio di povertà siano occupabili nel mondo del lavoro e che il poter contare su un posto di lavoro garantisca la fuoriuscita dall’indigenza. Tuttavia, le politiche di contrasto all’indigenza e le politiche del lavoro sono indirizzate a platee differenti e sovrapporle costituisce una criticità, soprattutto in un paese con un tasso di povertà lavorativa così elevato.

In questo contesto, dove è anche il lavoro a rendere le persone vulnerabili e a rischio di povertà, secondo alcuni studiosi e critici, sarebbe necessario focalizzarsi su politiche volte al miglioramento della qualità del lavoro e della sua stabilità, oltre che sui salari e sulla conciliazione vita privata e vita lavorativa.

Introdurre o integrare i trasferimenti rivolti a chi percepisce redditi da lavoro, comunemente chiamati ‘in-work benefits’, sembrerebbe essere uno strumento utile ad integrare i redditi dei lavoratori e delle lavoratrici, con impatti positivi anche sull’occupazione regolare.

Un’altra manovra spesso discussa relativamente alle politiche di contrasto alla povertà lavorativa è l’imposizione di un salario minimo, che tenga necessariamente in considerazione l’andamento generale dei prezzi e del costo della vita. L’introduzione di incentivi per le aziende che adottano comportamenti virtuosi sembrerebbe essere un’ulteriore manovra volta alla riduzione del tasso di indigenza tra la popolazione di lavoratori.

Fondamentale nella riduzione della povertà lavorativa è anche l’introduzione di politiche volte al miglioramento del mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Investire in una formazione di qualità e nell’edificazione di canali formali che favoriscano la corrispondenza tra competenze acquisite e richieste del mercato creerebbe, infatti, un ponte tra scuola e lavoro, aumentando conseguentemente l’occupazione giovanile.

I giovani rappresentano un forte potenziale per le aziende e possono fornire una potente spinta all’innovazione.

La loro presenza all’interno del mercato del lavoro dovrebbe essere, dunque, valorizzata anche attraverso l’offerta di contratti vantaggiosi e stabili.

Oltre al tasso di povertà lavorativa, come dimostrato dall’indice di Gini, ad essere in costante crescita è anche la disuguaglianza economica. Il reddito del 20% più ricco della popolazione, infatti, risulta più di 5 volte superiore rispetto a quello del 20% più povero. Per garantire un’effettiva protezione sociale alle classi più vulnerabili sarebbe dunque necessario attuare anche una revisione completa del sistema fiscale e redistributivo.

Conclusioni

Fino agli anni Novanta del secolo scorso, avere un lavoro significava poter godere di uno stile di vita sano e dignitoso.  Oggi la situazione è diversa e la povertà lavorativa è un fenomeno che sta crescendo a ritmi esponenziali. Solo nell’ultimo decennio, in Italia, il tasso di povertà lavorativa è aumentato di 5 punti percentuali.  

Ciò rende necessario riflettere seriamente sul tema delle politiche del lavoro per poter strutturare un sistema di welfare in grado di rispondere alle reali esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici.   
La povertà lavorativa non è solo un tema economico, è un tema di giustizia sociale, di coesione e di futuro.

Fonti e link utili per saperne di più o per approfondimenti:

PERCORSI DI SECONDO WELFARE: Il lavoro non è più la soluzione alla povertà

PERCORSI DI SECONDO WELFARE: Un reddito minimo per un futuro più equo: la sfida aperta per l’Italia

ANSA.IT: La povertà cresce tra gli occupati, anche a tempo pieno

PERCORSI DI SECONDO WELFARE: Working poor: le proposte degli esperti per contrastare la povertà lavorativa

FONDAZIONE ADECCO: Uno sguardo al fenomeno dei working poor

OSSERVATORIO DIRITTI: Lavoro povero: in Italia colpisce (almeno) 12 lavoratori su 100

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